1. La Comunità Domenicana
La presenza dei Domenicani a S. Maria Novella rimonta al 1221, quando i frati ebbero in donazione
dal vescovo di Firenze, Giovanni di Velletri, una chiesetta situata fuori dalle cinta delle mura cittadine, quasi in campagna (inter vineas), anche se molto vicina alla porta di S. Pancrazio o del Trebbio.
In realtà essi erano a Firenze già da due anni, ma fino ad allora non avevano avuto un luogo proprio e si erano adattati in vari alloggi di fortuna.
Dopo aver abitato per alcuni mesi nell’oratorio di S. Iacopo a Pian di Ripoli, si trasferiscono in città, nell’ospizio di S. Pancrazio prima e poi in quello di S. Paolo. il 9 novembre 1221 si insediano in questa piccola chiesa, che fu loro ceduta insieme al cimitero, alle case adiacenti e a sei staia di terreno.
L’ordine dei “Frati Predicatori” (come lo definì Onorio III nel 1217) era stato fondato da poco tempo e stava attraversando un periodo di grande espansione. Dal convento di Bologna S. Domenico pensò di mandare a Firenze un gruppo di dodici frati. Li guidava fra Giovanni Guarna da Salerno, che si era trasferito a Bologna per intraprendere la carriera universitaria e lì aveva trovato la svolta decisiva della sua vita: l’incontro con Domenico di Guzman e l’adesione incondizionata al suo progetto.
I nuovi frati si stabilirono dunque presso la vecchia chiesa di S. Maria Novella per esercitarvi il ministero della predicazione. Ma in città erano già conosciuti e forse fu proprio la stima che si erano conquistata negli anni precedenti, predicando e testimoniando la loro vita evangelica, a favorire la trattativa per la donazione di S. Maria Novella.
La chiesetta con i locali annessi apparteneva al capitolo dei canonici del Duomo di S. Reparata e ne era rettore un certo Prete Forese. La facilità con cui il beato Giovanni da Salerno e i suoi frati ottennero una sede tutta per loro (anche se ci fu una certa opposizione da parte dei canonici e soprattutto del Rettore, il quale pretese dai frati un vitalizio per il suo mantenimento) va ricercata nel fatto che essi venivano accolti con viva gioia dal popolo per la novità della loro vita, e a causa di questa insolita novità, molte persone (anche di prestigio e di cultura) entravano a far parte della loro fraternità.
La costruzione di una nuova chiesa, che avverrà entro breve tempo, e lo sviluppo degli edifici conventuali specialmente nel XIII e XIV secolo ci dicono della crescita rapida e incredibile di questa comunità.
La vita dei religiosi (secondo la regola e l’impostazione voluta dal fondatore) gravitava intorno alla preghiera e allo studio in vista della predicazione. Uno stile che è stato magistralmente sintetizzato da S. Tommaso d’Aquino nel motto: “Contemplari et aliis contemplata tradere“. La preghiera e lo studio, in una parola la contemplazione della Verità, deve essere la fonte e l’alimento della predicazione.
Ecco allora che S. Maria Novella, come ogni convento domenicano, ebbe subito il suo studium. Per opera di fra Remigio de’ Girolami, che era stato discepolo di S. Tommaso d’Aquino a Parigi, lo studio di S. Maria Novella divenne presto uno dei più prestigiosi dell’Italia centrale, e nel 1294 diventò studium generale, cioè un vero e proprio istituto universitario con la facoltà di concedere i gradi accademici.
Lo studio richiedeva i libri, e i domenicani di S. Maria Novella cercarono di procurarsene o comprandoli o facendoli trascrivere dai loro copisti. In un inventario del 1489 vengono elencati ben 932 codici esistenti in biblioteca o dati in prestito ai frati. Con gli anni però il numero dei volumi doveva essere aumentato di molto se nel 1618 fu iniziata la costruzione di una nuova ala della biblioteca nell’antico orto del convento.
Lo studio però non è per l’arricchimento intellettuale, ma insieme alla preghiera diventa uno strumento per giungere alla contemplazione delle “divine verità”. Lo studio e la preghiera si sostanziano e si alimentano reciprocamente per una efficace predicazione.
Nella chiesa di S. Maria Novella il coro per la preghiera dei religiosi occupava un ampio spazio davanti l’altare maggiore. Splendidi codici miniati della fine del Duecento e del Trecento (ancora esistenti) servivano per il canto delle varie parti dell’ufficio divino e della Messa. La stessa architettura dei locali, i molti affreschi e quadri a soggetto biblico o agiografico, il silenzio che vi doveva regnare, avevano lo scopo di stimolare e facilitare la preghiera di ogni momento della giornata.
Dall’abbondanza della contemplazione scaturisce l’attività apostolica, che i Domenicani esercitano prevalentemente con la predicazione. Il territorio in cui dal convento si irradiava l’azione apostolica, era detto sacra praedicatio. La preadicatio veniva divisa in più settori ognuno dei quali era affidato ad un religioso chiamato praedicator limitarius. Gli oratori più quotati ricevevano il titolo di praedicatores generales, che li autorizzava a percorrere tutta la predicazione conventuale e anche a varcarne i confini se richiesti.
Nei primi decenni di presenza a Firenze i domenicani svolsero la loro azione contro l’eresia dei càtari. Superata la crisi ereticale, la predicazione domenicana perse i toni polemici ed ebbe un carattere più popolare, con particolare attenzione alle classi emergenti. I numerosi “ospizi” fondati dai frati di S. Maria Novella nei dintorni di Firenze durante il XIV secolo sono indice di una imponente opera di evangelizzazione. Questi ospizi, che venivano costruiti lungo le principali vie di comunicazione, erano dei piccoli conventi periferici, che servivano da punto di appoggio per i predicatori, perché non fossero costretti a ritornare sempre nel convento principale.
Per le alterne vicende della storia, S. Maria Novella ha conosciuto varie trasformazioni e modificazioni: a periodi di grande splendore hanno fatto seguito altri di decadenza. Ma lo stile di vita originario, rimasto sostanzialmente immutato per quasi otto secoli, ha fatto di questo convento un centro – quasi un laboratorio – di preghiera, di fede, di studio, di evangelizzazione. E anche nei momenti più difficili il seme di una piccola comunità, ieri come oggi, sta a testimoniare la sete di dialogo con tutti coloro che cercano la Verità.
(continua)