2. La Chiesa
La fondazione della nuova chiesa
La prima pietra dell’attuale chiesa fu posta il 18 ottobre 1279 alla presenza del cardinale domenicano Latino Malabranca, nipote di Niccolò II, che si trovava a Firenze come legato pontificio per la pacificazione tra guelfi e ghibellini.
La chiesa fu progettata da ignoti architetti domenicani /fra Sisto da Firenze e fra Ristoro da Campi, secondo una tardiva tradizione) che si ispirarono allo stile gotico cistercense. Collaborarono alla sua realizzazione altri architetti domenicani, tra cui fra Albertino Mazzante (+1319), fra Borghese di maestro Ugolino (+1313), fra Mazzetto (+1310), fra Giannino da Marcoianno (+1348), che lavorò anche nella basilica di S. Pietro a Roma, fra Giovanni da Campi (+1339), noto per la costruzione del Ponte alla Carraia, e fra Iacopo di Talento da Nipozzano il quale, sotto la direzione di fra Iacopo Passavanti, portò al termine la grandiosa opera (1357).
Il 7 settembre 1420 il papa Martino V consacrò la nuova chiesa.
La piazza
Nel 1287, con decreto della Repubblica fiorentina, fu ordinata la realizzazione della piazza e fu consegnata ai domenicani per decoro e ornamento della nuova chiesa. Fin dal medioevo fu teatro di festeggiamenti, giostre e altre gare.
I due obelischi di marmo di Serravezza, ciascuno poggiato su quattro tartarughe di bronzo – del Giambologna – e terminante con giglio fiorentino, servivano come mete per il palio dei cocchi.
La facciata
La parte inferiore della facciata fu ricoperta di marmi bianchi e neri nel 1350 con fondi lasciati da Turino Baldese (+1348) e amministrati da fra Jacopo Passavanti. In quella circostanza furono fatti i sei avelli o arche tombali, i due portali laterali gotici e l’ornamentazione marmorea a riquadri e archetti, fino al primo cornicione.
Tra il 1458 e il 1470 fu rivestita la parte restante, su disegno di Leon Battista Alberti, per la munificenza di Giovanni di Paolo Rucellai (il cui nome con la data della fine dei lavori si vedono a caratteri cubitali sotto il timpano). L’Alberti, innestandosi sulle rigide strutture gotiche, realizzò il portale centrale e la parte superiore della facciata, armonizzando in maniera sublime gli elementi preesistenti con quelli rinascimentali. Per accordare poi la navata maggiore con quelle laterali notevolmente più basse, ideò le due originali volute capovolte (quella di destra fu rivestita di marmi solo nel 1920).
Le tre lunette delle porte furono dipinte da Ulisse Cocchi nel 1616. Quella centrale rappresenta S. Tommaso d’Aquino in preghiera davanti al crocifisso, con nello sfondo la processione del Corpus Domini (che ebbe inizio in S. Maria Novella), mentre quelle laterali ritraggono due personaggi che hanno riferimento all’Eucarestia: Aronne con la mamma (a destra) e Melchisedech con i pani (a sinistra).
Sui lati della facciata, a sinistra armilla equinoziale in bronzo, a destra quadrante astronomico in marmo, opere del domenicano fra Ignazio Danti, astronomo e cartografo granducale (1572 e 1574). Il sole rappresentato sul timpano è lo stemma del quartiere e del convento di S. Maria Novella.
Le fiancate delle navate non sono sostenute da contrafforti né da archi rampanti né da catene di ferro, ma solamente da esili speroni che, a guisa di lesène, dal tetto discendono sulle navate piccole e, dalle pareti di queste, fino a terra.
Gli avelli, o arche sepolcrali, che si vedono sulla facciata, continuano lungo la parete orientale esterna della chiesa e tutt’attorno nel recinto del cimitero della via che s’intitola appunto via degli Avelli. Questi avelli, appoggiati alle pareti perimetrali esterne della chiesa e del cimitero, sono formati da un cassone, nel quale veniva sepolto il morto, e da un arco gotico a bozze bianche e nere, i cui lati hanno per base le parti terminanti del cassone. Nel vano dell’arco alcune famiglie avevano fatto dipingere figure di santi per i quali avevano particolare devozione.
Nel terzo avello lungo il muro della chiesa, cominciando dalla facciata, venne sepolto il celebre pittore Domenico Ghirlandaio (+1494), e sotto l’arco una volta era dipinto il suo ritratto al naturale.
(continua)