Questa la Lettera che il Maestro dell’Ordine ha inviato per l’anno giubilare dell’Ordine dei Predicatori
«Guai a me se non predicassi il Vangelo» (cfr 1 Cor 9, 16)
L’Ordine dei Predicatori, ieri, oggi e domani
Miei cari fratelli e sorelle,
Andate e predicate!
Fin dalla celebrazione della ricorrenza dell’installazione delle prime suore dell’Ordine a Prouilhe, ogni anno della novena proposta da fr. Carlos ci ha preparato a sentire oggi questo invio. La nostra tradizione domenicana ci dice che Domenico un giorno sentì dirsi da San Pietro e San Paolo: «Andate e predicate, Dio ti ha scelto per questo ministero». Sulla porta della Basilica di Santa Sabina questa stessa formula è stata utilizzata da colui che ha scritto la bella icona dove San Domenico, a sua volta, si rivolge a tutti noi, fratelli e sorelle della famiglia domenicana: Andate e predicate! Vade Praedica!
Rispondere a questa chiamata – non solamente ciascuno individualmente ma tutti insieme, come comunione fraterna, in solidarietà apostolica con le nostre comunità e impegnandoci più intensamente nelle dinamiche della santa predicazione che è la famiglia domenicana – sarà il nostro modo di attualizzare la conferma dell’Ordine mentre celebriamo l’ottavo centenario. Rispondere non solo ognuno di noi individualmente, ma tutti insieme, come una comunione fraterna, in solidarietà apostolica con le nostre comunità e impegnandoci in modo più vivace nella dinamica della predicazione sacra che è la famiglia domenicana. Su richiesta di Domenico di Osma, papa Onorio III confermò l’Ordine come l’Ordine dei Predicatori nel 1216. Oggi, sollecitati dai bisogni del mondo e con la stessa determinazione di Domenico a servire la Chiesa e il mistero della sua comunione, è nostra responsabilità in qualche modo confermare a nostra volta questo Ordine dei Predicatori. Di quest’Ordine Onorio III scrisse che, dedicando tutte le loro forze per far penetrare la Parola di Dio e per portare il nome del Signore nostro Gesù Cristo in tutto il mondo, Domenico e i suoi fratelli hanno risposto al desiderio di «Colui che non cessa mai di fecondare la sua Chiesa con la nuova prole, volendo che questi tempi fossero all’altezza di quelli iniziali e diffondere la fede cattolica» (18 gennaio, 1221).
«Annunciare il Vangelo non è un motivo di orgoglio per me, è una necessità che si impone su di me: guai a me se non predicassi il Vangelo!». Siamo certamente lontani dal momento in cui Paolo scrisse, ma dalla predicazione di tanti nostri fratelli e sorelle, la Chiesa ha ampliato la tenda dell’amicizia con Dio! Questi anni di preparazione al Giubileo sono stati per tutti noi, fratelli e sorelle, laici e religiosi, l’opportunità di valutare il modo in cui noi, a nostra volta, contribuiamo, secondo la strada aperta da Domenico, per stabilire la tenda dell’amicizia con Dio. Questa è stato probabilmente anche l’occasione per prendere coscienza degli ostacoli che hanno gradualmente frenato l’entusiasmo dei primi giorni, gli oneri istituzionali, le paure e le esigenze della sicurezza personale, la necessità di un riconoscimento, l’indifferenza o gli scoraggiamenti davanti alle fratture che deturpano il mondo. Certo, abbiamo bisogno di prendere le misure per valutare ciò che facciamo e possiamo fare, di stabilire piani, da una parte sviluppando la nostra predicazione per dare piena applicazione alla creatività portata dalle nuove vocazioni, dall’altra preparare un momento di transizione, anche di recessione. Ma il futuro della predicazione del Vangelo della pace, il futuro della proclamazione che questo mondo così com’è, è il luogo dove Dio vuole far germinare il seme del Regno, non sarà probabilmente in primo luogo il risultato di piani strategici, pur pertinenti che possano essere. Come Domenico ha voluto far capire al Papa quando gli chiedeva di confermare i primi frutti della sua intuizione, il fuoco del Vangelo deve prima incendiare l’esistenza di ogni predicatore: dovevano «essere» predicatori. È questo fuoco interiore che un giorno ci ha dato il coraggio di chiedere la grazia di dedicare tutta la nostra vita alla Parola. È lo stesso fuoco che può stabilire in noi l’impazienza, l’insonnia, la speranza che, passando di città in villaggio, il nome di Gesù Cristo diventi il nome di un fratello e un amico che viene a vivere familiarmente con gli uomini, ispirando in tutto la fiducia per andare verso di Lui (ST III q 40 resp 3).
Quando Paolo esprime questa «necessità interiore», lo fa dicendo come egli stesso ha voluto cercare di avere familiarità con tutti, libero nei confronti di tutti, facendosi il servo di tutti: «Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero» (cfr. 1 Cor 9, 19f). Questo è lo stesso fuoco che vive dentro di Domenico: l’ardore della predicazione. Il primo compito del predicatore sembra essere quella di unire se stesso con coloro ai quali è mandato. Poiché desidera che il Vangelo diventi la dimora di tutto, il predicatore lega il suo destino con quello dei suoi interlocutori, fino al punto di accettare che la sua libertà dipenda da queste nuove amicizie, fino al punto di ricevere la sua libertà e creatività da questa dipendenza (non è quello che significa chiedere l’elemosina?). Per l’apostolo, il fuoco dentro non è solo quello di avere qualcosa da dire o da contribuire, ma è il fuoco dell’impazienza da condividere con tutti in questo mondo, un mondo che, nel giorno voluto da Dio, riceverà la sua trasfigurazione dalla verità del Vangelo. Per Paolo, lo sappiamo, questa trasfigurazione è la figura del mistero dell’unità d’amore in Cristo (Ef 3-4). Come non menzionare qui il mosaico profetico di Santa Sabina? (Gal 3, 28; Col 3, 11): tutti voi siete una cosa in Gesù Cristo, lui è tutto ed è in tutti! La nostra missione è di annunciare questa promessa di comunione: la stella sulla fronte di Domenico ci ricorda la stella di Betlemme che appare quando la Parola entra nell’alleanza, in comunione con gli esseri umani. Questa è la stessa luce della Parola che viene a vivere nel cuore della comunità. Questo «venire» è come un fuoco interiore ed è di questo fuoco che bruciamo per trasmetterlo ad altri. La fiamma della predicazione: simbolo del nostro Giubileo e della nostra missione. Mossi da questo fuoco, in un mondo che a volte sembra essere destinato a divisioni e conflitti, quando identitarismi e polarizzazioni cospirano per creare ostacoli alla comunione nella diversità, nel momento in cui le religioni stesse non sempre sanno come uscire da queste tentazioni, mossi da questo fuoco di desiderio per la comunione promessa, vai a predicare!
Ed ora l’immagine della visione di Domenico torna: il bastone di Pietro e il libro di Paolo. Il bastone di Pietro prima, mai dimenticare che c’è un solo pastore, di cui Pietro è stato il primo dei servi. Così, i predicatori sono inviati senza sosta a predicare la grazia della salvezza di cui la Chiesa, nell’unità della sua comunione, è il sacramento. Ma il bastone anche perché stiamo per uscire fuori, uscire dalle nostre convinzioni, andare oltre i confini della nostra sicurezza, scavalcare i fossi che separano le culture e gruppi umani, per accompagnare i passi della gente quando si tratta di incamminarsi su sentieri incerti. Il bastone su cui fare affidamento quando, consapevoli delle nostre debolezze e dei nostri peccati, chiediamo la grazia della misericordia così ci possa insegnare a diventare predicatori. Il bastone del predicatore itinerante della grazia della misericordia. La mobilità di questa itineranza, interna tanto quanto esterna, significa che il bastone deve essere sempre accompagnata dal Libro, portato da Paolo. Certo, perché nel libro è scritto ciò che Dio vuole rivelare a tutti. E anche perché è nella Parola che deve essere immersa l’esperienza di fede, la conversazione di evangelizzazione, e il lavoro di intelligibilità che la teologia persegue. Ma il libro con il bastone, perché l’incontro, il dialogo, lo studio di altre culture, la stima per le altre missioni per la verità, tutto questo costituirà dei ponti ad una più profonda conoscenza e comprensione di questa Parola, che si rivela a poco a poco a forza di scrutare la Scrittura che è stato memorizzata nella Bibbia. Andate e predicate potrebbe anche essere declinato come «andare a studiare», non per diventare un sapiente, né pensare di «insegnare agli altri», ma studiare per scrutare i segni dei tempi, discernere le tracce della grazia che lavora al centro del mondo, imparare a gioire e ringraziare e capire sempre meglio ogni giorno la profondità del mistero della sua presenza che è la Parola e la Verità. Vai, perché la grazia di cui si desidera diventare predicatore ti precede in Galilea, e si deve imparare a riconoscerla, studiarla, contemplarla, per avere poi la gioia di condividere la notizia!
Siamo partiti, stando in mezzo alla folla di coloro che ci hanno preceduto nella scuola di Domenico. Ci sono proposte molte scuole di santità! Perché, come ben sappiamo, questo «vai e predica», che ci porta sulle strade della predicazione, ci invita a scoprire come queste strade saranno quelle della nostra conformità al Signore. All’inizio di questo anno Giubilare, mi sembra che la memoria della prima comunità dei discepoli e degli amici che hanno accompagnato Gesù sulle strade della Galilea non ci deve lasciare. Seguendo lui che questa comunità è stata progressivamente «costituita per la predicazione». È stato con il ritorno di questi primi tempi apostolici che Diego e Domenico ebbero l’intuizione della necessità di un rinnovamento dei metodi, l’ardore e il messaggio di evangelizzazione. Oggi e domani, a nostra volta, siamo invitati in questa stessa opera di rinnovamento, al fine di contribuire «a fare questi tempi moderni degni degli iniziali e diffondere la fede cattolica». E abbiamo la possibilità di farlo accogliendo in tutti i continenti le nuove vocazioni che costituiscono anche un invito al rinnovamento incessante del dinamismo della predicazione dell’Ordine. Ma quali sono queste strade sulle quali siamo chiamati oggi a vivere familiarmente con gli uomini? «Devo proclamare la buona novella del regno di Dio anche alle altre città anche, perché è per questo che sono stato mandato» (Lc 4, 43-44). L’Ordine di San Domenico, nel suo complesso, deve essere animato da un simile senso dell’urgenza della «Visitazione del Vangelo» (Lc 1, 39)! Certo, tutti noi abbiamo, sorelle, fratelli e laici, buone ragioni per dire che dobbiamo, prima di tutto, garantire quello che stiamo già facendo. Certo, a volte possiamo essere «paralizzati» considerando la grandezza del compito e quanto pochi siamo. Naturalmente, abbiamo ragione a sottolineare che, dove ci siamo già stabiliti, il compito della predicazione è essenziale. Ma la «Visitazione del Vangelo» ci spinge ad aderire a persone, gruppi e luoghi in cui l’annuncio della Buona Novella del Regno deve, ancora una volta, «anche» essere ascoltato. L’oggetto della predicazione è questo approccio discreto e rispettoso di Colui che viene, familiarmente, ad offrire amicizia e la Misericordia di Dio. È ben noto che Domenico non era il «creatore» del rosario. Ma non è un caso che al suo Ordine fu affidata la meditazione e la predicazione del mistero di Cristo con la contemplazione dei misteri del Rosario. Essendo ben consolidati nel cuore della vita del predicatore, i misteri della vita di Gesù, vivendo tra i suoi, stabilendo il suo posto tra gli uomini, affrontando il tradimento e la morte, e tuttavia non cessando di proporre il perdono, guidano il modo nel quale i predicatori, con le loro parole umane, serviranno l’avvento della misericordia familiare perché il mondo abbia la vita.
L’Ordine ieri, oggi e domani, stabilisce il tema di questo anno della celebrazione del Giubileo. Quale sarà l’Ordine domani? Sarà senza dubbio la predicazione, libera e gioiosa. Come ieri e oggi, sarà senza dubbio motivata dal desiderio di vivere e di predicare, nel proprio tempo, la comunione come la prima comunità apostolica, vissuta con Gesù, al fine di far conoscere la promessa del Regno come buona notizia per tutti. Certo non pretendo di tratteggiare l’immagine concreta della «sacra predicazione» del domani: questo sarà il frutto della creatività apostolica dei nostri fratelli e sorelle e laici di tutte le latitudini, guidati dalla creatività dello Spirito Ma, qualunque sia questa immagine, mi sembra che l’Ordine, per il futuro, dovrà fare proprie alcune questioni cruciali che vorrei formulare a partire dalle visite che ho la possibilità di effettuare con i fratelli e le sorelle in tutto al mondo.
Come possiamo ascoltare e comprendere ciò che il Signore ci dice con le nuove vocazioni che Egli, inviandocele, ci affida? Guardando la storia iniziale dell’Ordine, mi colpisce il modo in cui i nuovi fratelli sono stati guidati alla predicazione, attraverso la loro esperienza di fede, la loro formazione, la loro storia, la loro cultura. La conversione di alcuni, gli studi ampi effettuate da altri, l’esperienza di vita … tutto questo gradualmente ha plasmato la diversità e la creatività dell’Ordine di Domenico. Che dire di oggi? Molti dei nuovi fratelli entrano nell’Ordine dopo gli studi che li hanno impegnati in nuove forme contemporanee di conoscenza, molti vengono da ambienti culturali e familiari con cui la Chiesa non sempre dialoga facilmente. Molti, proprio a causa del fatto che sono stati «sequestrati» dall’urgenza della Parola nel cuore di una vita in cui hanno lasciato titoli o progetti per il futuro: come l’Ordine permetterà loro di rimanere fedeli a questa generosità e distribuirla pienamente a vantaggio della creatività apostolica di tutto l’Ordine? La ricchezza di queste nuove vocazioni è una responsabilità di tutti noi: continuamente approfondiamo e diversifichiamo il nostro “servizio di conversazione di Dio con gli uomini».
Questo servizio, se è nostra comune responsabilità, è realizzato in una grande varietà di culture e l’Ordine non cessa mai di diventare più internazionale e interculturale. Allo stesso tempo, nell’Ordine come nel mondo, anche se continuiamo a parlare di globalizzazione (o forse perché ne parliamo) esiste la tentazione di ripiegare su identità che sono più «controllate» e chiuse su se stessi, con il rischio di essere sempre un po’ sulla difensiva quando si tratta di scambiare, di collaborare, di scegliere per il bene comune, che fanno prendere l’apparente rischio di fragilità e, soprattutto, di non essere in grado di realizzare i progetti a breve termine che ciascuno ha elaborato per sé. Come faremo, in futuro, a spalancare le vie dell’interculturale, lo scambio tra le province e le congregazioni: come posizionare la realtà internazionale dell’Ordine più pienamente al servizio della Chiesa? Osiamo prendere il rischio di internazionalizzare le nostre comunità, di testimoniare la sinfonia che è possibile tra culture, tra le modalità di vicinanza familiarità con il mondo, tra le scuole teologiche, tra le forme di conoscenza, tra la comprensione della Chiesa? … Come, infatti, può l’Ordine stesso essere, nel cuore della Chiesa, questa «conversazione» alla quale richiamava il beato Papa Paolo VI?
Per raggiungere questo obiettivo, mi sembra che l’Ordine, in futuro dovrà, sempre di più, diventare l’Ordine di una predicazione contemplativa. Paradossalmente, mentre non cessa di dire, a ragione, che la Chiesa ha sempre più bisogno di operai per la messe, l’Ordine dovrebbe senza dubbio offrire un servizio che non significa semplicemente essere divorati dall’azione pastorale, piuttosto scoprire maggiori luoghi di contemplazione, di scoperta della saggezza, di ricerca della verità. Vale a dire che il luogo riservato alla testimonianza della comunione fraterna deve avere, in futuro, la priorità non negoziabile data alla meditazione della Parola, alla liturgia delle ore e all’intercessione, alla paziente visione alla presenza del Signore. Ma è anche parlare della determinazione con la quale dovremo consolidare e approfondire l’intensità di studio, una via privilegiata di contemplazione, ma anche un servizio per la Chiesa che, in nome della tradizione che ci è stato trasmesso, non possiamo rifiutare.
L’Ordine, domani dovrebbe essere più che mai animato dal desiderio di diventare sempre di più la «famiglia di Domenico», che, fin dall’inizio, è stata una novità per la Chiesa. Questo dovrebbe indurci ben oltre le buone relazioni fraterne tra tutti i membri della Famiglia Domenicana. La domanda più pressante sarà senza dubbio: come questo essere «famiglia» ci permette di individuare meglio insieme le necessità della Chiesa e del mondo e di rispondere prendendo insieme la comune responsabilità apostolica ed evangelica?
È in gran parte attraverso la realizzazione di questa famiglia che l’Ordine cercherà, domani, di continuare ad essere il servitore dell’amicizia di Dio con il mondo. Per fare questo, i fratelli come anche le sorelle, e anche i laici, dovranno coltivare la loro disponibilità per la mobilità, per itineranza. Le necessità della Chiesa, i bisogni del mondo, cambiano ad un ritmo veloce. Allo stesso tempo, abbiamo assunto istituzioni e progetti onerosi, presenze conventuali che sono difficili da mantenere, progetti personali che faticano ad essere integrati in un progetto comune. La sfida sarà quella di darci i mezzi per essere attenti alle esigenze degli altri più che alla nostra volontà di «mantenere» quello che vogliamo fare, o desideriamo continuare a fare. Come non dimenticare ciò che è caratteristico dell’Ordine, ieri, oggi e domani, sempre andando al di là di situazioni consolidate, per andare incontro a coloro che non hanno ancora avuto la gioia di un incontro personale con Gesù Cristo, a correre il rischio di lasciare titoli per testimoniare la misericordia e l’amicizia di Dio per coloro per i quali Dio è ancora, o è diventato, distante e straniero? Come possiamo lasciarci trasportare dal fuoco del desiderio di andare, ancora una volta, verso altri luoghi e altre culture? …
Nella Basilica di Santa Sabina, dove abbiamo celebrato l’apertura dell’anno giubilare, Domenico amava pregare, per esprimere a Dio la sua preoccupazione per i poveri, per i peccatori e per i più lontani. Amava anche affidare alla misericordia del Signore i fratelli che inviò in missione, nonostante le loro paure e le incertezze … lo ha fatto con la convinzione che solo la misericordia di Dio, instancabilmente contemplato e annunciato, sarebbe stata la forza della predicazione. In questo Anno del Giubileo dell’Ordine, è questa stessa convinzione che ci manda a nostra volta ad annunciare il Vangelo della pace.
Andate e predicate!
Fratello Bruno Cadore, OP
Maestro dell’Ordine dei Predicatori
Roma, 1 Gennaio 2016
Solennità di Maria Santissima Madre di Dio